Asl Lecce condannata per trasfusione infetta, pagherà 174mila euro
Maxi risarcimento per aver contratto l'epatite C in seguito a due trasfusioni di sangue. E' questa la decisione del got del Tribunale di Lecce Silvia Rosato, che ha condannato il Ministero della Salute a pagare ben 174mila euro nei confronti di un 60enne di Cutrofiano, assistito dall'avvocato Tonia Gigante.
Il contagio risale al 1983, quando l'ex impiegato viene ricoverato nell'ospedale di Maglie in seguito ad un incidente stradale. Vista la necessità di effettuare un intervento chirurgico, i medici gli effettuano due trasfusioni, con quattro sacche di sangue. Il paziente lascia il nosocomio dopo due settimane, avviando un percorso riabilitativo senza particolari problemi.
E' solo nel 1999 che l'impiegato scopre di essere affetto dall'epatite Hcv, dopo aver fatto delle analisi di routine a causa di una sensazione di stanchezza che avverte da qualche tempo. Si tratta della forma più grave di epatite, per la maggior parte dei casi asintomatica quando viene contratta: i primi sintomi della malattia, infatti, si presentano a distanza di oltre un decennio, quando ormai è diventata una forma cronica.
Si tratta di una patologia molto seria, che nel peggiore dei casi può degenerare in una cirrosi epatica o peggio in una forma tumorale. Il contagio avviene principalmente attraverso lo scambio di sangue infetto, ed in minima parte per via sessuale.
Già nel 2004 l'impiegato aveva ottenuto il riconoscimento di un indennizzo da parte del Ministero della Salute: una commissione medica dell'ospedale militare di Taranto riconosce l'esistenza del nesso causale fra le trasfusioni ed il contagio. L'indennizzo viene corrisposto sulla base di un fondo, istituito con la legge 210 del 1991, che lo Stato mette a disposizione per coloro che subiscono un danno da emotrasfusione o a causa della sommistrazione di un vaccino.
Nel 2005, però, l'impiegato trascina in Tribunale il ministero della Salute, per ottenere un risarcimento, che a differenza dell'indennizzo, si basa sul riconoscimento di una «colpa» del Ministero. Colpa che a detta del giudice «deve ravvisarsi nella ripetuta inosservanza delle norme poste a presidio della salute collettiva dal rischio, già noto all'epoca dei trattamenti sanitari a cui fu sottoposto l'attore, di contagio originato dalla trasfusione». «Sebbene sino al 1988 non fossero disponibili test di screening specifici per l'identificazione dei donatori infetti da Hcv», si legge ancora nella sentenza, «la Cassazione dispone che il ministero della salute risponde per il contagio da virus Hcv a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B, essendo tenuto a controllare già dai primi anni 70 che il sangue dei donatori non presentasse alterazioni delle transaminasi».
Una sentenza destinata ad avere notevoli conseguenze e che interesserà i numerosi malati che hanno già avuto il riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla legge.
Fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it